È successo quello che doveva succedere. Ci siamo addormentati, perché è venuto il sonno a fare il nostro periodico ritratto. E per somigliarci a noi più che noi stessi, ci vuole fermi, che appena respiriamo, e mobili ogni tanto, come un tratto sicuro di matita. Ecco che siamo la viva immagine di una distilleria abusiva che goccia a goccia secerne puro spirito. Noi dietro una colonna ridevamo per l'aneddoto, e ci contrastavamo amabilmente su aria, fiato e facoltà vitale, su brio d'intelligenza, sull'indole e sull'estro, soffio, refolo, vento e venticello, sull'essenza e sulla soluzione, sul volatile e sulla proporzione, sul naturale e sul denaturato. E poi sulla fortuna. La fortuna non c'entra quando una cosa per terra si posa. E vale sia per l'estetica che per l'allodola. E lui continuava a ritrattare. A ritrattare quindi. E la reale e doppia fisionomia nostra spariva via come una coppia annoiata di visitatori da una mostra. Noi dietro le sue spalle ridevamo per l'aneddoto mimetico, drammatico, faceto, ditirambico, e ci contrastavamo amabilmente su verde, rosa e viola del pensiero, su mente giudicante, su lampo e riflessione, e sul limpido e il cupo e il commovente, su coscienza e su allucinazione, sulla celebre cena e gli invitati. Colori che divorano colori se lo spirito s'eccita, per caso esilarando, oppure ardendo, bruciando bruciando. E chi dei due ha le parti fredde cercando le tue.