Amato tanto così me lo ridici amato tanto. Timida molto audace la stessa diversa persona sei tu, e per cambiare ti basta saperlo, che non sei mai la stessa, nemmeno a volerlo. I simboli non sai cosa siano, un'ortensia non è nemmeno quella. Hai la pazienza di un'onda compresa la tendenza a soffermarti mai, come fosse la fine. Non un dito notevole, ma dieci impercettibili soprusi, aperti come i mari, e come i mari chiusi. Neri i tuoi neri sconvolti divampati imperi irrisolti, e matematicamente rivolti a contenere zeri. Impensabili però malleabili, ballabili mammelle abbracciate alle quali volteggi sotto il lampadario delle stelle, inutilmente imitatrici dei tuoi denti. Prendi, e dagli spaventi tanto sentimentali, tiri le diagonali dei sospiri violenti. Svegliata la mattina, guardi nel posto accanto lo sfinito e per quanto respira o non respira. Sai che non si è mai la propria vita, la tua ti serve appunto per certezza, tu vivi e lasci vivere te stessa con un congedo, con una carezza sicura con la mano, sicura con la mano, con la guancia perplessa. Sciolta come le braccia scomparirà la neve: per sempre se ne andrà, e se dovrà ricadere sarà come un armadio che si sgancia e precipita dal cielo in tante schegge. E tuttavia, però comunque sia, bellezza e compagnia non vanno bene, non si legano insieme. Risentirai la neve risuonare dentro le risatine, come un piacere che non sai trattenere. La neve tornerà come un pretesto dipinta e sempre finta, e tu la irridi, la lusinghi e la sfidi e la solleva il tuo sbuffo selvaggio.