Ingresso solito d'albergo, portiere turco molto attento in livrea, una signora, un'orchidea è mia l'idea di starmene qui. Stampe cinesi in ascensore e pazzi arazzi di un pittore naif, un orologio fa tic tac un thè in frac, un giorno da choc. Lei entra a passi lenti, sorriso a mille denti, ondeggiano i suoi fianchi, si siede e le sue gambe nel modo più elegante ti prendono alla mente. Poi se n'accende una, con gusto se la fuma che sembra una regina, è forse una regina ha l'aria di chi aspetta, non deve avere fretta.
Ci si prepara per la sera, la cameriera si è invaghita del lord; tintinna un lampadario e qua, tra ori e strass, chi viene e chi va. Anche i bicchieri hanno un destino, un fattorino cerca invano John Smith, mentre un sultano se ne va, arriverà un campione di golf. Lei scivola con gli occhi partendo dai miei tacchi, mi sembra che mi tocchi la bocca sua composta, aspetto una risposta è certo una proposta. Non so dove guardare, potrei farle capire: la cosa si può fare; è un giorno fortunato, mi alzo contenuto, è fatta, io mi dico.
E che emozione quella scala, quella sua camera, un'oasi d'amore io per pudore non vorrei parlar di lei e dei fatti miei. Sta nel finale la sorpresa: quel fatto rosa come un sogno svanì, quando mi disse solamente: sai, per niente più niente si fa.